Benga - Diary of an afro warrior

Ha un software di configurazione installato all'interno di due innesti cerebrali. Ha sentimenti umani. Arti bionici. Ha una pettinatura (iper)dark. Muta personalità e aspetto fisico per fronteggiare meglio le situazioni. Si sposta solo di notte. Ha due cuffie bluetooth nelle orecchie. Sputano ritmiche spezzate, dilatazioni dub, suoni house dall'iperspazio, schegge jazz e inaspettate aperture melodiche.

Il futuro è ora ma scorre via veloce come fosse un presente qualsiasi.
Una volta si chiamava dubstep. Ora non so.

Diary of an afro warrior.

Afterhours - I milanesi ammazzano il sabato


Gli Afterhours li conosco bene, molto bene.

Dal '97 li seguo costantemente live, ne conosco ogni sfumatura, i progetti paralleli (sono stato fan anche di Six Minute War Madness e A Short Apnea), sono a conoscenza inoltre di molti retroscena per aver passato cinque giorni con il loro produttore dei primi tre album in italiano ("Germi", "Hai paura.." e "Non è per sempre"). Insomma, musicalmente negli ultimi dieci anni sono cresciuto con loro.


Il nuovo album comincia con la loro migliore copertina di sempre (in passato non se n'è salvata una a parte quella di "Quello che non c'è" ) a sintetizzare lo sforzo concettuale per introdurre l'ascoltatore immediatamente nel centro dell'album.

Ce n'è bisogno infatti, perchè il disco è complesso: ve ne parlo dopo una decina di ascolti integrali e solo ora i veri valori sembrano venire a galla.


L'album, come recitava la nota di presentazione alla stampa, è veramente schizofrenico: si passa con facilità (forse un po' troppa) dall'ironia alla drammaticità, dalla paura alla tranquillità, dalla speranza all'incubo.


Quello che è chiaro è che la paternità di Manuel ha influito tantissimo sulle musiche e soprattutto sui testi (che va detto sono complessivamente un paio di gradini sotto l'eccellenza che ha sempre caratterizzato le produzioni di Agnelli) dai quali traspare un trend allucinato pseudo-fiabesco ("Naufragio sull'isola del tesoro", "Tutto domani", "Orchi e streghe sono soli") al quale si contrappone in qualche modo una concretezza di immagini ("Pochi istanti nella lavatrice" "Tema: la mia città") che fanno intuire il duplice lato di Manuel, spaccato in due nel dover mediare tra la realtà delle cose e la sua immagine distaccata sul mondo dell'immaginazione.

Una sorta di stasi della teoria del "Musicista contabile".


I pezzi bomba sono quelli che entrano subito, ("Pochi istanti nella lavatrice", "E' solo febbre" "Neppure carne da cannone per Dio") ma quelli che stupiscono sulla lunga distanza sono quelli dove la melodia striscia sotto le chitarre distorte (incredibile "Tutto domani" non tanto per il suo impatto emotivo quanto per la sua normalità ed emotività) mentre veramente fuori target Afterhours sono pezzi come "E' dura essere Silvan" e "Tutti gli uomini del Presidente" (entrambi veramente all'altezza della situazione)

L'unico tranello a mio avviso sta nel riprendere a tratti la formula pop di "Non è per sempre" (è il caso purtroppo di "Riprendere Berlino") velocizzando la formula del "Ritornello non oltre i dieci secondi dall'inizio del pezzo")

Un solo passo falso nell'ambito di 14 canzoni si può tranquillamente digerire.
Per il resto, ottimo album.

Voto: 8