New liberalistic pleasures - The death of Anna Karina


Mi dicono di rimanere più asciutto nei miei post... ne prendo atto e rinnovo la discussione parlando degli italianissimi The death of Anna Karina, usciti non da pochissimo sulla label bolognese Unhip Records.

Come vedete continuo a battere sul made in Italy, ma questa volta le coordinate sono diverse rispetto al precedente post: conoscete (o meglio conoscevate) i texani At the drive-in? il loro miscuglio di emo e indie, hardcore e saltuarie aperture melodiche aveva fatto gridare al miracolo da più parti... qui i territori sonori si avvicinano parecchio, (soprattutto per quanto riguarda l'uso del cantato e delle ritmiche incalzanti) con l'aggiunta di alcune "trovate" alla System of a down: un mix stimolante e arguto, senza dubbio riuscito.

I DOAK cercano una loro via (per niente italiana) all'hardcore di stampo USA e lo fanno generalmente con l'uso di tastierine giocattolo lo-fi che impregnano il suono ruggente delle loro chitarre di una certa "sinistra inquietudine".

Bello, le idee ci sono, la volontà di personalizzare e di fondere più elementi musicali fa di questo "New liberalistic pleasure" un piccolo mattone nel variegato mondo hardcore, inserendosi in quel filone, a mio avviso molto stimolante, che può piacere all'indie-rocker alla Sonic Youth per intenderci... Le uniche perplessità risiedono nell'uso a volte monocorde di quelle stesse tastiere che caratterizzano per la maggior parte il suono del disco, e della stessa voce: molto hype, tipicamente hardcore... ma forse troppo sguaiata ed epilettica per non sfociare a volte - ebbene sì lo dico - nel ridicolo.

Da ascoltare, riascoltare e promuovere.
Ma i ragazzi sono sicuro che in futuro faranno di meglio, c'è da esserne certi... forse con una produzione più attenta e arguta di quella di Giulio Favero.

Sono stato più breve??? sono stato più cattivo???e che cacchio... direbbe Bart

http://www.thedeathofannakarina.com/

Mark ronson - Version

ok, ok è un disco di cover e lo sappiamo tutti che le cover sono robaccia, però diciamo la verità siamo nell'era dei dj e dei produttori e dei remix, possiamo anche chiudere un occhio no? Qui poi non si tratta di semplici cover ma di pezzi rock e pop rifatti in chiave black da diversi artisti sotto la regia del produttore e dj Mark Ronson. Può bastare?

Ho ascoltato per la prima volta il disco di Mark Ronson per caso. Era il pezzo del cantante dei Maximo Park, Paul Smith, che rifaceva "Apply some pressure" un pezzo dei... Maximo Park. Praticamente rifaceva sè stesso. Il risultato di questo cortocircuito, è un pezzo irriconoscibile, tutto fiati e batteria ma con la voce immutata del pezzo originale e quel suono alla Mark Ronson che è il tratto distintivo di tutto il disco (e anche il suo limite).

Il disco è spassoso (è da tempo che volevo usare la parola spassoso per un disco), divertente, solare, da godere senza pensieri. Magari Robbie Williams che rifà "The only one I know" dei Charlatans non aggiunge nulla all'originale, anzi e rifare "Stop me" degli Smiths sembra un sacrilegio però come resistere all'iniezione di ritmo data a "Valerie" degli Zutons da Amy Winehouse, a "Stop me" stessa, a "God put a smile in your face" dei Coldplay rifatta in versione strumentale tutta fiati e batteria, a "Amy" di Ryan Adams (non Bryan Ryan) irriconoscibile nella nuova ricetta Ronson?

C'è anche Toxic di Britney Spears, ma non era male neppure l'originale...(ops)

www.markronson.co.uk