Battles - Mirrored


Dei Battles è stato scritto molto (se non tutto) e sotto questo punto di vista mi sento un po' un ritardatario.

Effettivamente il disco qualche mese fa me lo sono lasciato sfuggire - complice una recensione che non mi aveva assolutamente fatto ingolosire - ma forse non è stato un male, l'attenzione sul quartetto attualmente è un po' calata e quindi si può ragionare con maggiore distacco.


Il punto di partenza è: i Battles fanno musica nuova, mai sentita e assolutamente originale. Suonano strumenti convenzionali (Ian Williams ex Don Caballero alla chitarra è uno dei miei "anti-guitar-hero" per eccellenza, così come Stanier il batterista attuale Tomahawk ed ex Helmet, wow!) e li incrociano con campionamenti e tastiere atipiche. La base è senza dubbio il rock "matematico" e algido della scena indie di metà anni 90 ma la cosa che sorprende è come è trattata la materia: il singolo "Atlas" (riempipista nelle discoteche rock ) è furente quanto complesso, ma è anche stupefacentemente orecchiabile. La struttura del pezzo è lucida, puntuale e bizzarra. Nulla è lasciato al caso, neppure l'andamento dancefloor che al rocker purista può far arricciare il naso ma che fuso in un atteggiamento avanguardista della materia sonora può rimettere in discussione molti punti della musica degli ultimi dieci anni.


"Race:in" - altro pezzo magnifico - fa gridare più volte al miracolo per le numerose (o infinite?) frecce a disposizione del gruppo, che passa con incredibile naturalezza da stacchi hard a trovate easy listening, da motivetti stile "Ispettore Gadget" a voci filtrate di chiara ispirazione dance.


Trattasi comunque di materiale altamente cerebrale, assolutamente poco istintivo (direi anzi per nulla) che piace tantissimo all'ascoltatore-musicista quanto all'improvvisato fruitore di modern music, all'appassionato di crossover musicali quanto a colui che vedeva ormai abbandonata l'onda math rock (ma mi chiedo se ci sia mai stata...) dello scorso decennio.


Disco epocale, difficilmente replicabile dal vivo ma destinato ad aprire dibattiti, tavole rotonde, interpretazioni. Certamente dopo una quindicina di ascolti è un disco destinato a scendere nelle attenzioni perchè è vero che contiene una quantità innumerevole di trovate sceniche, ma è anche vero che queste sono visibili tutte abbastanza chiaramente e l'emotività è veramente "desaparecidos".


Se dovessi avvicinarlo ad un altro disco non saprei veramente dove infilarlo in quanto oggettivamente incatalogabile.

Se dovessi invece trovare il suo netto contrario allora direi senz'altro che questo non può essere altro che "Nevermind" dei Nirvana.

In ogni caso lunga vita ai Battles e "gli mortacci loro" per quello che sono riusciti a combinare.



3 commenti:

  1. io sono sicuramente un ignorante del genere dei "Battles", ma dopo la terza canzone dell'album che recensisci ho cancellato l'album dal mio harddisk. Li ho trovati poco piacevoli da ascoltare, troppo spigolosi e senza una caratteristica distintiva.

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  2. Io trovo il disco semplicemente noioso. Probabilmente perchè non mi affascina la musica troppo cerebrale e poco istintiva. Non per niente l'unico pezzo che salvo è il riempipista "Atlas"...(però dall'hard disk non lo cancello, non si sa mai)

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  3. Non vi do torto, non è un album per chi ama suoni omogenei e istintivi. Non hanno un'identità (questo è verissimo) ma solo perchè hanno deciso di non averla.
    Un disco effettivamente per gli addetti ai lavori e per musicisti indie.
    In ogni caso è forse l'unico disco da anni a poter gonfiare il petto pronunciando le fatidiche parole: "Io faccio musica nuova, che vi piaccia o no..."

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